20/02/2020
“L’incontro tra due personalità è come il contatto di due sostanze chimiche; se c’è una reazione, entrambi si trasformano” … che intuizione profonda ha percepito Carl Gustav Jung… in poche parole la magia del rapporto umano!
In queste settimane, durante le mie giornate al San Pedro, diverse persone, così, per caso, mi si sono avvicinate e chiedendomi di parlare con loro, e mi hanno raccontato le loro esperienze di vita… detenuti che per un qualche recondito motivo, vedendomi in azione in carcere, con le mie gaffes, le mie risate e anche le mie sincere incazzature e le mie sparate al vento, si sono animati a condividere le loro emozioni e i loro vissuti con una perfetta (o quasi) sconosciuta… l’intimità delle emozioni, espresse e condivise in brevi momenti ritagliati in mezzo al caos del carcere, ma con lo spazio riservato dello sguardo degli occhi negli occhi… che cosa magica!
Sabato scorso Ruben, argentino, dopo il dibattito del cineforum, con le lacrime agli occhi mi ha raccontato di come il suo matrimonio si sia spento con l’uscita di casa di sua figlia… e ha voluto condividere con me il suo sentimento di perdita e frustrazione, raccontandomi tristi dettagli di come una relazione che sembrava perfetta nella sua “normalità”, nel suo giorno dopo giorno routinario e “sicuro”, di come si sia consumata ed “esaurita”… forse perché era terminata la sua funzione, e il suo obiettivo si è compiuto, lasciando entrambi senza più un motivo per cui stare insieme. Mi ha commosso la sua grande sincerità e l’apertura con cui mi ha raccontato la sua storia…
Dall’inizio di gennaio vado in carcere la domenica, accompagnando il gruppo del coro della messa, con le canzoni… dopo la messa, è diventato un rituale che mi fermo nel nostro centro educativo e con loro pranziamo insieme. Ogni domenica qualcuno prepara da mangiare, preparando piatti boliviani o latini, e ovviamente anche a me tocca a volte preparare piatti italiani: la carbonara e la pasta alla amatriciana sono stati un successo! È un momento bellissimo di condivisione, ascoltiamo musica e parliamo un po’ di tutto: di politica, emozioni, della vita in carcere, dei nostri ideali, di come ci piacerebbe il mondo, delle nostre vite… Durante questi pranzi chiacchierando un po’ di tutto, un giorno Cesar, il più “furbetto” e vispo, ad un certo punto, ha cominciato a raccontare del come è finito in carcere per una calunnia, e nel raccontare, ad un certo punto con il nodo alla gola, ha cominciato a piangere e ha aperto il rubinetto delle emozioni, piangendo a dirotto, singhiozzando, e confessando tutto il suo dolore e la sua frustrazione per essere finito dove mai avrebbe pensato di arrivare… il gruppo di ragazzi è rimasto in silenzio ad ascoltare e poi, a turno sono andati tutti a dargli un abbraccio e a dargli parole di conforto… è stato un momento molto intenso… Cesar si è asciugato le lacrime col braccio e guardandomi mi ha detto “Grazie Barbara, per stare con noi… per noi è molto importante sentire la vicinanza di qualcuno che passa del tempo con noi…” gli ho accarezzato la testa piangendo e sorridendo…un senso di amore profondo mi ha rapita mentre gli dicevo “Grazie a voi che mi riempite il cuore con la vostra presenza!”
Quando ho un po’ di tempo vado a trovare Luis, un ragazzo di 35 anni che ha passato praticamente tutta la sua vita tra riformatori e carceri di mezza America Latina, tra rapine, sparatorie, affari loschi di tutti i tipi… Luis suona bene la chitarra e quindi cogliamo sempre l’occasione per strimpellare qualche pezzo vecchio o nuovo, perché mi piace tanto cantare e per lui è un momento di astrazione totale dall’essere in carcere… ra un mate di coca o un caffè, facciamo tante chiacchiere e tante risate: Luis ha un forte senso dell’ironia e a volte anche del più acido sarcasmo, ha una bella testa, un’intelligenza molto vivace. L’altro giorno però, quando sono arrivata nella sua cella, stranamente non ha tirato fuori la chitarra… si è messo a parlare a ruota della sua vita…ha cominciato a raccontarmi della sua infanzia, della madre che lo ha abbandonato quando aveva appena 4 anni, e del padre militare, molto autoritario ed esigente con lui, del suo senso di smarrimento e di rabbia che non ha mai saputo leggere fino in fondo…Luis parla, come a fare un bilancio della sua vita a ruota libera, senza mettere limiti ai pensieri che fanno a botte tra loro per passare avanti ed arrivare a prendere la parola… la scuola, il collegio, gli amici, i primi viaggi, le compagnie che poi lo hanno portato a delinquere e la sua profonda solitudine affettiva, tamponata per lo più con le mille e una donne che riusciva ad irretire con il suo fascino da “bello e dannato”, lasciando poi al silenzio e al vuoto delle sue improvvise sparizioni, la spiegazione della sua incapacità di relazionarsi….quasi una seriale, silenziosa e dolorosa vendetta verso quell’unica donna che aveva amato e dalla quale avrebbe voluto essere amato… sua madre. Io lo ascolto in silenzio, lo guardo negli occhi mentre mi racconta senza veli e con grande emozione particolari scabrosi di esperienze dure, come l’aver ucciso delle persone o il tenere fra le braccia compagni di vita criminale mentre pronunciano le ultime parole prima di morire con le lacrime agli occhi… Ad un certo punto si ferma, mi guarda e per un momento smette di parlare con una faccia un po’ sorpresa si mette le mani sulla testa, fra i capelli “Non so perché sto raccontando a te tutte queste cose. Non parlo mai con nessuno. Non parlo mai di me. Non mi piace! È una vita che vivo in carcere e mi faccio i cazzi miei, so come si sopravvive in carcere… Però se mi è venuto di parlarti forse c’è un motivo… ti chiedo scusa!” Cerco di raccogliere le ultime briciole di equilibrio e razionalità con l’emozione che mi arriva in gola e gli dico: “Luis, hai detto proprio quello che penso anch’io: se mi hai raccontato di getto la tua vita, c’è sicuramente un motivo… sento gratitudine verso di te, per avermi confidato tanto di te, della tua vita, del tuo cuore… per me tutto questo è un tesoro… le tue confidenze sono un tesoro… credo che se finalmente riesci a parlare di quello che per tanto tempo è rimasto chiuso nel tuo cuore, è perché senti che ti puoi fidare. Ed è un momento molto importante, perché se senti che ti puoi fidare di me, piano piano il senso di fiducia può allargarsi anche a qualcun altro… soprattutto chissà, puoi cominciare a piccoli passi, ad avere fiducia di te stesso, il te stesso che è ancora fermo a prima della prima rapina a mano armata, e che è rimasto li’ ad aspettare di essere preso per mano e cominciare a vivere la sua vera vita!” Ci siamo guardati, tutti e due con le lacrime agli occhi, e sorridendo senza parole Luis ha preso la chitarra e ha cominciato a suonare e io, con le lacrime che mi scendevano libere sulla faccia, a cantare “Quien fuera” di Silvio Rodriguez… il più bel ringraziamento reciproco per aver sciolto il silenzio, per aver abbattuto il muro dell’isolamento, del pregiudizio, della paura di relazionarsi…
In questi giorni non sono andata in carcere perché ho una brutta tendinite al piede e dunque mi sono dedicata all’arido lavoro burocratico inchiodata al computer, con la nostalgia del San Pedro…una delle nostre educatrici oggi mi ha chiamato dicendomi che diversi detenuti le hanno chiesto di me, di come stavo, di quando sarei andata in carcere e di mandarmi i loro saluti e auguri di pronta guarigione…
“L’incontro tra due personalità è come il contatto di due sostanze chimiche; se c’è una reazione, entrambi si trasformano”: quanto è vero! Questi ragazzi hanno trasformato la mia vita per sempre…rimpiendola di emozioni e di amore… facendomi esperire momenti di intensa gioia… credo di essere molto fortunata!
Vi abbraccio tutti… e col cuore vi mando tutta la sensazione di appagamento interiore e di gioia che provo…
Que viva la vida, y que vivan las relaciones humanas que pintan esta vida de infinitos colores!
La vostra Barbara
“L’incontro tra due personalità è come il contatto di due sostanze chimiche; se c’è una reazione, entrambi si trasformano” … che intuizione profonda ha percepito Carl Gustav Jung… in poche parole la magia del rapporto umano!
In queste settimane, durante le mie giornate al San Pedro, diverse persone, così, per caso, mi si sono avvicinate e chiedendomi di parlare con loro, e mi hanno raccontato le loro esperienze di vita… detenuti che per un qualche recondito motivo, vedendomi in azione in carcere, con le mie gaffes, le mie risate e anche le mie sincere incazzature e le mie sparate al vento, si sono animati a condividere le loro emozioni e i loro vissuti con una perfetta (o quasi) sconosciuta… l’intimità delle emozioni, espresse e condivise in brevi momenti ritagliati in mezzo al caos del carcere, ma con lo spazio riservato dello sguardo degli occhi negli occhi… che cosa magica!
Sabato scorso Ruben, argentino, dopo il dibattito del cineforum, con le lacrime agli occhi mi ha raccontato di come il suo matrimonio si sia spento con l’uscita di casa di sua figlia… e ha voluto condividere con me il suo sentimento di perdita e frustrazione, raccontandomi tristi dettagli di come una relazione che sembrava perfetta nella sua “normalità”, nel suo giorno dopo giorno routinario e “sicuro”, di come si sia consumata ed “esaurita”… forse perché era terminata la sua funzione, e il suo obiettivo si è compiuto, lasciando entrambi senza più un motivo per cui stare insieme. Mi ha commosso la sua grande sincerità e l’apertura con cui mi ha raccontato la sua storia…
Dall’inizio di gennaio vado in carcere la domenica, accompagnando il gruppo del coro della messa, con le canzoni… dopo la messa, è diventato un rituale che mi fermo nel nostro centro educativo e con loro pranziamo insieme. Ogni domenica qualcuno prepara da mangiare, preparando piatti boliviani o latini, e ovviamente anche a me tocca a volte preparare piatti italiani: la carbonara e la pasta alla amatriciana sono stati un successo! È un momento bellissimo di condivisione, ascoltiamo musica e parliamo un po’ di tutto: di politica, emozioni, della vita in carcere, dei nostri ideali, di come ci piacerebbe il mondo, delle nostre vite… Durante questi pranzi chiacchierando un po’ di tutto, un giorno Cesar, il più “furbetto” e vispo, ad un certo punto, ha cominciato a raccontare del come è finito in carcere per una calunnia, e nel raccontare, ad un certo punto con il nodo alla gola, ha cominciato a piangere e ha aperto il rubinetto delle emozioni, piangendo a dirotto, singhiozzando, e confessando tutto il suo dolore e la sua frustrazione per essere finito dove mai avrebbe pensato di arrivare… il gruppo di ragazzi è rimasto in silenzio ad ascoltare e poi, a turno sono andati tutti a dargli un abbraccio e a dargli parole di conforto… è stato un momento molto intenso… Cesar si è asciugato le lacrime col braccio e guardandomi mi ha detto “Grazie Barbara, per stare con noi… per noi è molto importante sentire la vicinanza di qualcuno che passa del tempo con noi…” gli ho accarezzato la testa piangendo e sorridendo…un senso di amore profondo mi ha rapita mentre gli dicevo “Grazie a voi che mi riempite il cuore con la vostra presenza!”
Quando ho un po’ di tempo vado a trovare Luis, un ragazzo di 35 anni che ha passato praticamente tutta la sua vita tra riformatori e carceri di mezza America Latina, tra rapine, sparatorie, affari loschi di tutti i tipi… Luis suona bene la chitarra e quindi cogliamo sempre l’occasione per strimpellare qualche pezzo vecchio o nuovo, perché mi piace tanto cantare e per lui è un momento di astrazione totale dall’essere in carcere… ra un mate di coca o un caffè, facciamo tante chiacchiere e tante risate: Luis ha un forte senso dell’ironia e a volte anche del più acido sarcasmo, ha una bella testa, un’intelligenza molto vivace. L’altro giorno però, quando sono arrivata nella sua cella, stranamente non ha tirato fuori la chitarra… si è messo a parlare a ruota della sua vita…ha cominciato a raccontarmi della sua infanzia, della madre che lo ha abbandonato quando aveva appena 4 anni, e del padre militare, molto autoritario ed esigente con lui, del suo senso di smarrimento e di rabbia che non ha mai saputo leggere fino in fondo…Luis parla, come a fare un bilancio della sua vita a ruota libera, senza mettere limiti ai pensieri che fanno a botte tra loro per passare avanti ed arrivare a prendere la parola… la scuola, il collegio, gli amici, i primi viaggi, le compagnie che poi lo hanno portato a delinquere e la sua profonda solitudine affettiva, tamponata per lo più con le mille e una donne che riusciva ad irretire con il suo fascino da “bello e dannato”, lasciando poi al silenzio e al vuoto delle sue improvvise sparizioni, la spiegazione della sua incapacità di relazionarsi….quasi una seriale, silenziosa e dolorosa vendetta verso quell’unica donna che aveva amato e dalla quale avrebbe voluto essere amato… sua madre. Io lo ascolto in silenzio, lo guardo negli occhi mentre mi racconta senza veli e con grande emozione particolari scabrosi di esperienze dure, come l’aver ucciso delle persone o il tenere fra le braccia compagni di vita criminale mentre pronunciano le ultime parole prima di morire con le lacrime agli occhi… Ad un certo punto si ferma, mi guarda e per un momento smette di parlare con una faccia un po’ sorpresa si mette le mani sulla testa, fra i capelli “Non so perché sto raccontando a te tutte queste cose. Non parlo mai con nessuno. Non parlo mai di me. Non mi piace! È una vita che vivo in carcere e mi faccio i cazzi miei, so come si sopravvive in carcere… Però se mi è venuto di parlarti forse c’è un motivo… ti chiedo scusa!” Cerco di raccogliere le ultime briciole di equilibrio e razionalità con l’emozione che mi arriva in gola e gli dico: “Luis, hai detto proprio quello che penso anch’io: se mi hai raccontato di getto la tua vita, c’è sicuramente un motivo… sento gratitudine verso di te, per avermi confidato tanto di te, della tua vita, del tuo cuore… per me tutto questo è un tesoro… le tue confidenze sono un tesoro… credo che se finalmente riesci a parlare di quello che per tanto tempo è rimasto chiuso nel tuo cuore, è perché senti che ti puoi fidare. Ed è un momento molto importante, perché se senti che ti puoi fidare di me, piano piano il senso di fiducia può allargarsi anche a qualcun altro… soprattutto chissà, puoi cominciare a piccoli passi, ad avere fiducia di te stesso, il te stesso che è ancora fermo a prima della prima rapina a mano armata, e che è rimasto li’ ad aspettare di essere preso per mano e cominciare a vivere la sua vera vita!” Ci siamo guardati, tutti e due con le lacrime agli occhi, e sorridendo senza parole Luis ha preso la chitarra e ha cominciato a suonare e io, con le lacrime che mi scendevano libere sulla faccia, a cantare “Quien fuera” di Silvio Rodriguez… il più bel ringraziamento reciproco per aver sciolto il silenzio, per aver abbattuto il muro dell’isolamento, del pregiudizio, della paura di relazionarsi…
In questi giorni non sono andata in carcere perché ho una brutta tendinite al piede e dunque mi sono dedicata all’arido lavoro burocratico inchiodata al computer, con la nostalgia del San Pedro…una delle nostre educatrici oggi mi ha chiamato dicendomi che diversi detenuti le hanno chiesto di me, di come stavo, di quando sarei andata in carcere e di mandarmi i loro saluti e auguri di pronta guarigione…
“L’incontro tra due personalità è come il contatto di due sostanze chimiche; se c’è una reazione, entrambi si trasformano”: quanto è vero! Questi ragazzi hanno trasformato la mia vita per sempre…rimpiendola di emozioni e di amore… facendomi esperire momenti di intensa gioia… credo di essere molto fortunata!
Vi abbraccio tutti… e col cuore vi mando tutta la sensazione di appagamento interiore e di gioia che provo…
Que viva la vida, y que vivan las relaciones humanas que pintan esta vida de infinitos colores!
La vostra Barbara