Due scrittori riminesi in carcere, per
raccontare le loro esperienze e per avvicinare i detenuti alla scrittura
e alla lettura. Il ciclo di incontri, cominciato da poco, è organizzato
e seguito dallo sportello della Caritas del carcere di Rimini, che già
si occupa della redazione del giornale Libero Dentro. "Gli incontri sono
un successo - raccontano - la partecipazione è incredibile".
RIMINI | 13 dicembre 2013 |
Gli scrittori vanno in carcere. Non perché vittime di un sistema che vuole imbavagliarli (almeno non per ora), ma perché la scrittura può essere formativa, terapeutica, ed essere uno strumento col quale migliorarsi e mettersi in modo diverso in rapporto col mondo. Da qui nasce l'incontro e il confronto tra chi in carcere ci è finito per i più vari motivi, e chi, invece, ha fatto della scrittura e della ricerca interiore la propria professione. Gli incontri con gli autori sono stati organizzati dal laboratorio di scrittura e lettura del Carcere di Rimini dello sportello Caritas, che già si occupa della redazione del giornale Liberi Dentro.
Il calendario è al momento "top secret" come quasi tutto ciò che riguarda il carcere, ma i primi due incontri sono stati un successo, come ci racconta una volontaria Caritas.
"La prima ospite è stata Barbara Magalotti, psicologa dell'età evolutiva, autrice del libro Dì a qualcuno che io sono qui, che descrive un duro e triste spaccato della realtà latinoamericana. Barbara, infatti, dal 2001 svolge attività di volontariato in Bolivia, dove ha lavorato con i ragazzi di strada e collaborato con la Pastoral Penitenciaria Catolica de Bolivia, un'organizzazione che difende i diritti umani dei detenuti e dei loro figli presso il Carcere San Pedro di La Paz all'interno del quale ha fondato e coordina il Centro Educativo Alegrìa, per i figli dei detenuti che vivono con essi all'interno del carcere.
"La sala della biblioteca in cui si è svolto l'incontro - continua la volontaria - era piena. Barbara ha raccontato la sua esperienza di volontaria a La Paz, in Bolivia, in cui passa 6 mesi all'anno con i detenuti e i loro figli, che vivono lì abusivamente. Poi in estate torna a fare la stagione a Rimini. La platea è stata molto colpita da questa scelta di vita, completamente volontaria e non stipendiata. E ci sono state molte domande.
"Tutti i presenti le hanno manifestato la propria grande stima e un infinito rispetto umano per il coraggio, la dedizione e la passione in quello che fa, e che vive senza pesantezza".
"Quello che mi ha colpito di Babrara - ha detto un detenuto - è la forza che trova nel vivere con persone così pericolose che hanno commesso cose atroci, la forza".
Anche dall'altra parte l'incontro è stato un successo, come ci racconta Barbara Magalotti.
"Devo dire che nonostante più di 10 anni di lavoro all'interno di un carcere latinoamericano (il carcere San Pedro di La Paz, Bolivia) la mia emozione all'ingresso del carcere della mia città natale è stata grande.
"Altra struttura, altra organizzazione, altro clima umano e soprattutto altre storie di vita. Personalmente sono stata piacevolmente sorpresa dall'interesse dimostrato dai detenuti e dagli operatori riguardo alla realtà carceraria boliviana. Molto piacevole e interessantissima la sensazione di discutere di tematiche che in fondo uniscono e ridondano anche in due realtà così geograficamente e culturalmente lontane: il senso della detenzione, le modalità tutte personali di utilizzare il 'tempo sospeso' della detenzione, l'importanza e insieme la difficoltà di dare un senso positivo e costruttivo a questa esperienza così forte, l'importanza di stabilire un 'punto di partenza' nuovo per una vita proiettata nel futuro e non più nel passato.
"Le domande, le curiosità, le affermazioni, gli spunti di discussione proposti dagli stessi detenuti sono stati per me fonte di riflessione e di nuove rielaborazioni rispetto al mio lavoro in carcere e mi hanno convinta ancor di più (semmai ce ne fosse stato ancora bisogno) della importanza fondamentale della relazione nel percorso di crescita personale di ognuno, di tutti.
"Incontrare queste persone è stato per me un privilegio, un onore, e ringrazio ognuno di loro per i loro preziosi interventi che hanno animato questo bellissimo incontro".
Lo scorso 7 dicembre si è svolto il secondo incontro, con lo scrittore Marco Missiroli, che ha portato il suo libro Il senso dell'elefante.
"Anche il secondo incontro è andato molto bene - ci conferma la volontaria - Per noi è importante sottolineare il valore terapeutico della scrittura. Avvicinare i detenuti al mondo della scrittura e lettura. Evadere, con la fantasia, e avvicinarli alla scrittura. E in questo gli scrittori ci stanno aiutando tantissimo".
Ci sono detenuti che leggono e altri che non leggono, e gli incontri sono un modo per avvicinare chi non mostra troppo interesse per la scrittura a questa attività.
"E' un processo che pian piano appassiona e interessa - conclude la volontaria Caritas - alla fine di ogni incontro distribuiamo i libri e chiediamo la recensione. E in più portiamo in carcere persone interessanti, che altrimenti sarebbe difficile conoscere nella vita ordinaria".
Stefano Rossini
Strumenti
Il dossier del carcere di Rimini
Gli scrittori vanno in carcere. Non perché vittime di un sistema che vuole imbavagliarli (almeno non per ora), ma perché la scrittura può essere formativa, terapeutica, ed essere uno strumento col quale migliorarsi e mettersi in modo diverso in rapporto col mondo. Da qui nasce l'incontro e il confronto tra chi in carcere ci è finito per i più vari motivi, e chi, invece, ha fatto della scrittura e della ricerca interiore la propria professione. Gli incontri con gli autori sono stati organizzati dal laboratorio di scrittura e lettura del Carcere di Rimini dello sportello Caritas, che già si occupa della redazione del giornale Liberi Dentro.
Il calendario è al momento "top secret" come quasi tutto ciò che riguarda il carcere, ma i primi due incontri sono stati un successo, come ci racconta una volontaria Caritas.
"La prima ospite è stata Barbara Magalotti, psicologa dell'età evolutiva, autrice del libro Dì a qualcuno che io sono qui, che descrive un duro e triste spaccato della realtà latinoamericana. Barbara, infatti, dal 2001 svolge attività di volontariato in Bolivia, dove ha lavorato con i ragazzi di strada e collaborato con la Pastoral Penitenciaria Catolica de Bolivia, un'organizzazione che difende i diritti umani dei detenuti e dei loro figli presso il Carcere San Pedro di La Paz all'interno del quale ha fondato e coordina il Centro Educativo Alegrìa, per i figli dei detenuti che vivono con essi all'interno del carcere.
"La sala della biblioteca in cui si è svolto l'incontro - continua la volontaria - era piena. Barbara ha raccontato la sua esperienza di volontaria a La Paz, in Bolivia, in cui passa 6 mesi all'anno con i detenuti e i loro figli, che vivono lì abusivamente. Poi in estate torna a fare la stagione a Rimini. La platea è stata molto colpita da questa scelta di vita, completamente volontaria e non stipendiata. E ci sono state molte domande.
"Tutti i presenti le hanno manifestato la propria grande stima e un infinito rispetto umano per il coraggio, la dedizione e la passione in quello che fa, e che vive senza pesantezza".
"Quello che mi ha colpito di Babrara - ha detto un detenuto - è la forza che trova nel vivere con persone così pericolose che hanno commesso cose atroci, la forza".
Anche dall'altra parte l'incontro è stato un successo, come ci racconta Barbara Magalotti.
"Devo dire che nonostante più di 10 anni di lavoro all'interno di un carcere latinoamericano (il carcere San Pedro di La Paz, Bolivia) la mia emozione all'ingresso del carcere della mia città natale è stata grande.
"Altra struttura, altra organizzazione, altro clima umano e soprattutto altre storie di vita. Personalmente sono stata piacevolmente sorpresa dall'interesse dimostrato dai detenuti e dagli operatori riguardo alla realtà carceraria boliviana. Molto piacevole e interessantissima la sensazione di discutere di tematiche che in fondo uniscono e ridondano anche in due realtà così geograficamente e culturalmente lontane: il senso della detenzione, le modalità tutte personali di utilizzare il 'tempo sospeso' della detenzione, l'importanza e insieme la difficoltà di dare un senso positivo e costruttivo a questa esperienza così forte, l'importanza di stabilire un 'punto di partenza' nuovo per una vita proiettata nel futuro e non più nel passato.
"Le domande, le curiosità, le affermazioni, gli spunti di discussione proposti dagli stessi detenuti sono stati per me fonte di riflessione e di nuove rielaborazioni rispetto al mio lavoro in carcere e mi hanno convinta ancor di più (semmai ce ne fosse stato ancora bisogno) della importanza fondamentale della relazione nel percorso di crescita personale di ognuno, di tutti.
"Incontrare queste persone è stato per me un privilegio, un onore, e ringrazio ognuno di loro per i loro preziosi interventi che hanno animato questo bellissimo incontro".
Lo scorso 7 dicembre si è svolto il secondo incontro, con lo scrittore Marco Missiroli, che ha portato il suo libro Il senso dell'elefante.
"Anche il secondo incontro è andato molto bene - ci conferma la volontaria - Per noi è importante sottolineare il valore terapeutico della scrittura. Avvicinare i detenuti al mondo della scrittura e lettura. Evadere, con la fantasia, e avvicinarli alla scrittura. E in questo gli scrittori ci stanno aiutando tantissimo".
Ci sono detenuti che leggono e altri che non leggono, e gli incontri sono un modo per avvicinare chi non mostra troppo interesse per la scrittura a questa attività.
"E' un processo che pian piano appassiona e interessa - conclude la volontaria Caritas - alla fine di ogni incontro distribuiamo i libri e chiediamo la recensione. E in più portiamo in carcere persone interessanti, che altrimenti sarebbe difficile conoscere nella vita ordinaria".
Stefano Rossini
Strumenti
Il dossier del carcere di Rimini