Da: barbara magalotti
Data: Sun, 28 Nov 2010 21:10:46 +0000
Il cielo oggi è grigio e le nuvole galleggiano sulla Cordillera Real, che dalla finestra della mia camera riesco ad intravedere in mezzo alle case della mia amata La Paz. La ciurma di volontari, soci e ospiti sono andati a fare una escursione alla Valle della Luna, e io colgo l’occasione per raccogliere un po’ le idee, e mandarvi qualche notizia del San Pedro e dei miei primi 10 giorni in Bolivia.
Purtroppo la salute non mi è venuta incontro e per una settimana ho dovuto sopportare la sciatica e il senso di impotenza e di frustrazione che l’accompagna: non poter camminare ore ed ore sulle salite e le discese della città, non poter accudire operativamente con energia alla casa e alle due nuove volontarie, non poter fare sforzi o comunque non poter fare quello che normalmente nella mia caratteristica frenesia e impazienza di “costruire” e “portare a termine” compio… Ragazzi, che fatica, per una come me, “rallentare” !!! Mi sono sentita “in prigione”… Ma ho voluto sfruttare l’immobilizzazione forzata per invitare a casa alcune care persone che poi non avrò tanto modo di incontrare quando riprenderò il mio ritmo: Eva e la piccola Maria Kiara, Elvira dell’associazione delle ex detenute “Vida Nueva” e il mio querido Miguel Angel, che finalmente a luglio, dopo 10 anni di detenzione, è uscito di prigione ed è libero!
Miguel Angel… che emozione, che sensazione forte è stata vederlo fuori dal San Pedro, per strada… io l’ho conosciuto lì dentro e per tutti questi anni l’ho sempre visto da detenuto dentro a quelle 4 mura… Lo sono andata ad aspettare alla fermata del bus in Plaza España. Me lo vedo arrivare con le cuffiette alle orecchie, lo zainetto in spalla, la tuta e le scarpe da ginnastica, sorridente. Mamma mia che abbraccio che ci siamo dati! Mi ha preso a braccetto e abbiamo raggiunto la casa dove ci siamo fatti un bel mate di coca e chiacchierato fitto fitto. E’ dura ricominciare daccapo! Miguel aveva trovato un lavoro in una fabbrica di Mallassa (fuori La Paz). Ma il datore di lavoro deve essersi accorto del suo passato “manchado” (“macchiato”) e ha chiamato Miguel, dicendogli che sebbene lavorasse bene, per il momento non aveva più bisogno di lui, che lo avrebbe richiamato più avanti. Me lo racconta con gli occhi velati di tristezza, ma decisi a darsi da fare, a trovare un lavoro onesto, costi quel che costi. Non ci pensa neanche lontanamente a farsi ripescare per una stronzata e rischiare di rientrare in galera! Chissà cosa prova nel suo cuore, chissà come si deve essere sentito di fronte al datore di lavoro che gli fa capire che nella sua ditta quelli con la fedina penale sporca non hanno speranza di entrare…
Che forza d’animo ci vuole per sorridere e continuare a cercare lavoro in mezzo a gente che non ti da fiducia, che ti ricorda continuamente che non basta quello che hai già pagato per 10 anni in galera, che devi continuare a pagare per sempre, che ormai sei “segnato”! Cerco di incoraggiare Miguel per come posso, ma so che le mie parole per lui sono solo lo specchio dell’affetto che lui sa io provo per lui. Ma questo è già tanto per lui e me lo dice col cuore in mano “Ti ringrazio Barbara per essermi sempre stata vicina: dentro come fuori dal carcere. Sei una grande amica e ti voglio un bene infinito”. Cazzo, vorrei fare di più. Mi sento responsabile per la sua sorte, per quel che sarà di lui in futuro, vorrei poterlo aiutare nei fatti, non solo con parole di incoraggiamento… ma come? Sento nel mio cuore che il progetto Casa Solidaria potrebbe essere davvero una occasione di riscatto sociale per gente come Miguel che cozza ogni giorno contro l’indifferenza anzi, l’ostilità della società che in un uomo che ha sbagliato (anche se gravemente), continua a vedere una minaccia, il pericolo della riproduzione costante di un errore e non considera neanche per un istante che dietro ad una azione sconsiderata, violenta, deviante, c’è sempre una storia, una esperienza, una sofferenza, a volte anche solo una irragionevole ed immatura considerazione del rischio e delle conseguenze delle proprie azioni, un ‘accozzaglia di emozioni e di problemi che spesso non sono mai stati “srotolati”, letti, interpretati, rielaborati, solo lasciati ad aggrovigliarsi sempre più per una dannata solitudine, per la mancanza di stimoli positivi…che dietro agli occhi di tante persone che hanno sbagliato c’è un cuore che sente il desiderio di cambiare, di dare una svolta onesta e coerente alla vita, di dare un senso concreto e gioioso alla propria esistenza, che finalmente crede nella possibilità di vivere all’interno di un sistema di regole condivise, stando al gioco “senza barare”. Certo, non tutti riescono ad arrivare a tanto: e se qualcuno di voi avrà occasione di entrare in San Pedro capirà perché è tanto difficile credere nel concetto di giustizia per questi detenuti. Come per esempio il fatto che l’80% della popolazione carceraria è in galera e ci rimane per anni, senza un processo, senza una sentenza, senza sapere magari per cosa è stato arrestato e sbattuto lì dentro, senza vedere un avvocato per mesi solo perché non gli allunga dei soldi o perché è prigioniero politico. Non sono certo angeli, i detenuti del San Pedro. Di questo ne sono consapevole e me lo ricordano i loro “traffici” continui…ma non per questo non hanno il diritto di essere considerati uomini, non per questo si può arrivare a spogliarli della loro dignità di esseri umani.
Consuelo e Linda mi hanno aiutato davvero molto e non appena mi sono sentita un po’ meglio abbiamo fatto un raid sulla Eloy Salmon a comprare i mobili per la casa dei volontari e in una mattinata abbiamo comprato tutto : 10 coperte, 2 mobili per la cucina, 5 comodini, 2 librerie, 1 scrivania, un mobile con vetrine e cassetti per custodire materiale ufficio e vario…il tutto caricato su un unico taxi che ci ha portato fino a casa… Un delirio!!! Consuelo non riusciva a credere che saremmo riusciti caricare tutto su una macchina. Ma siamo in Bolivia e qui davvero tutto può succedere! Intanto Linda e Guglielmo da un’altra parte hanno comprato la cucina elettrica, che abbiamo subito battezzato con una bella cenetta a base di pasta all’arrabbiata e delle buone bistecche di carne cruceña.
Parlando con Guglielmo viene fuori che Cyril, un ragazzo francese che fa il muratore e che conosco bene, sta cercando operai per la sua piccola impresa. Il giorno seguente Cyril è a cena da noi, perché ci monta il mobile della cucina. Provo a parlargli e gli racconto sinceramente la storia di Miguel Angel, dei suoi 10 anni di detenzione e della sua ricerca di lavoro. Gli chiedo se se la sentirebbe di provare Miguel, vedere se potrebbe lavorare con lui. Cyril mi dice di sì, che incontrerà Miguel e che se si dimostrerà responsabile e affidabile, lo assumerà senza problemi. Quando chiamo Miguel per dirglielo sono così contenta che mi sembra di volare! E Miguel non fa che ringraziarmi con una voce che mi dice tutto della sua gioia incredula!
Domenica ho portato le due ragazze in carcere: abbiamo assistito alla messa del nuovo cappellano e poi ci siamo fermate con i ragazzi del coro a bere mate e fare due chiacchiere. Come sempre l’accoglienza dei detenuti è stata molto calorosa e la presenza di nuove volontarie una bella novità nel grigiore delle giornate sempre uguali del San Pedro.
Padre Filippo ha lasciato il suo lavoro al carcere a fine settembre e va in San Pedro solo come “visitatore”, solo a fare due chiacchiere ogni tanto con qualche detenuto. E’ difficile per lui tagliare questo cordone ombelicale e farsi una ragione rispetto al fatto che tra qualche mese tornerà per sempre in Italia, a trascorrere la sua vecchiaia in meditazione e riposo…e ancor più difficile è per i reclusi immaginarsi di perdere Padre Filippo. I detenuti continuano a chiedermi se è proprio vero che Filippo se ne andrà in Italia per sempre e che non tornerà più. Il nuovo cappellano non riesce minimamente a colmare quel vuoto che sta lasciando il mitico Pippo: non parla con loro, non li sostiene, ha una maniera molto fredda e formale di stare in mezzo ai galeotti, abituati alle parolacce e alle battute scherzose di Filippo anche durante le omelie…Il nodo alla gola e allo stomaco che provo quando me lo chiedono non è solo al pensiero che di gente come Filippo non se ne trova tanta in giro per il mondo, ma anche che i quasi 10 anni di collaborazione tra me e lui stanno volgendo al termine e anche io dovrò affrontare il San Pedro senza le riflessioni e le chiacchierate serali di confronto e programmazione del lavoro con una persona che di esperienza e cuore ne ha da vendere… E’ diverso il San Pedro senza Filippo, ma i detenuti sono sempre lì, e adesso hanno ancor più bisogno di sostegno e considerazione.
Per questo in questi giorni, più che al Kinder, sono andata a far visita e a parlare con quelli che mi hanno chiesto aiuto. Mi rendo conto che anche una parola di sostegno e l’ascolto dei loro problemi, può cambiare la percezione delle loro giornate. E cerco per quanto posso di essere presente. Adesso più di prima.
E capisco ancor di più che lavoro immenso era quello di Filippo. Un uomo solo che ha veramente reso più vivibile la vita reclusa di 1500 uomini. Un vero miracolo di umanità. Mi viene da piangere. Ma poi cerco di asciugare queste lacrime e penso a cosa mi direbbe Filippo “Va a la mierda! Romanticona!” e allora non posso far altro che rimboccarmi le maniche e fare, darmi, condividere, ascoltare, accogliere, sdrammatizzare… nel mio piccolo davvero provo a raccogliere tutti gli insegnamenti, i suggerimenti, le idee di quest’uomo che tanto mi ha insegnato e trasmesso. E mi rendo conto di quanto sia stato prezioso e bello averlo conosciuto, vissuto in prima persona, condiviso con lui per tanti anni mille avventure ai confini dell’immaginabile…
Mi rendo conto che sto scrivendo troppo… non vi ho scritto nulla del kinder e dei problemi che come sempre condiscono le giornate da volontaria fantozziana al San Pedro… Lo farò, ve lo assicuro, nella prossima mail e vi racconterò anche dei miei amati niños, che con la loro dolcezza in questi giorni già mi hanno dato la forza di affrontare il mio senso di impotenza e di inadeguatezza fisica.
L’altro giorno, il piccolo, terribile Efraim, con la faccia sporca e il moccio al naso, mi si è attaccato al collo (mentre gli dicevo che non potevo prenderlo in braccio perché avevo mal di schiena…figuriamoci!) , non mi mollava più e mi diceva abbracciandomi forte “Barbara, per favore, portami a casa con te”…
C’è sempre tanto da fare, tanto da dare, tanto amore da donare. E io ci provo, ogni giorno, con tutti i miei limiti , con tutta me stessa. E' sempre troppo poco, ma è tutto quello che ho.
Un abbraccio forte a tutti.
La vostra Barbaridad