Cosa porta una persona a condividere, raccontare, vivere certe intimità, certi pensieri, certe esperienze con qualcun altro? Come inizia e come si evolve questo “mischiamento” di energia, è davvero un mistero. A maggior ragione dentro ad un carcere. Soprattutto perché il mondo interiore dei detenuti può rivelarsi da un momento all’altro, scoprendo universi sconosciuti, che sono stati tenuti nascosti gelosamente, quasi come un tesoro “pericoloso” che spesso fa paura mostrare agli altri e fa male ricordare a se stessi. L’altro giorno, durante uno dei nostri “sabati di condivisione” sono emersi contenuti assolutamente “privati” di un paio di persone che hanno deciso di mettere in piazza le loro emozioni, i loro sentimenti. Da sabato 12 febbraio ho deciso di offrire lo spazio del Centro Educativo all’incontro di quei detenuti che abbiano voglia di passare del tempo insieme. Jorge, Edwin e Felipe portano con sé la chitarra, il charango, il tamburo per suonare e cantare. Si beve un caffè, si fanno le chiacchiere, si canta e poi si pranza insieme. Tutto questo è magico. Magica la voce di Jorge, che finalmente si può sfogare e tirar fuori tutta la sua passione (frustrata dall’impossibilità di cantare per la messa in cappella, visto il divieto imposto dal presidente dei delegati), magico il charango di Edwin che con le sue 10 corde fa da vero e proprio “tappeto magico” alle note della chitarra di Jorge e la sua voce, e magica la possibilità di passare del tempo insieme in maniera del tutto libera e sana, condividendo i piaceri della charla e della tavola insieme a gente che vive la stessa dimensione di reclusione, in un tempo che sembra “sospeso” tra persone che dimostrano voglia di vivere, di divertirsi, di ascoltare, di abbracciare i pensieri gli uni degli altri. Una sorta di “terapia di gruppo” un po’ anarchica, che dà valore alla dimensione del condividere e del conoscersi senza ricatti, senza bisogno di dimostrare nulla se non esattamente sé stessi.
Bello.
Veramente belli questi 3 sabati passati insieme. Un chaqueño, un paceño, un portoghese, un mezzo argentino pazzo, un dominicano si incontrano, si parlano, scambiano opinioni sulla prigione, sulla vita, si raccontano le loro esperienze… lo spazio è aperto a tutti, e ho esteso l’invito a partecipare a diversi detenuti… un po’ alla volta si sta consolidando questa abitudine e per il momento questi cinque partecipanti sono fissi. Chi più, chi meno comincia ad aprirsi e a godere di questa possibilità.
Sabato scorso Pablo aveva cominciato a parlare dei suoi rapporti familiari… tante bugie e tante conseguenti incomprensioni con i fratelli… e adesso, da detenuto, la lontananza glaciale della sorella che nemmeno crede al fatto che si trovi in una prigione… Parla a scatti, con una certa fatica, si stropiccia le mani e guarda il pavimento mentre ci comunica queste cose. I ragazzi sono molto colpiti dal suo racconto. Edwin gli mette una mano sulla spalla e gli dice di avere forza e coraggio, di tentare ad allacciare i rapporti con i familiari, perché è importante avere qualcuno su cui contare quando sei chiuso fra quattro mura. Pablo imbronciato fa di sì con la testa, ma continua a guardarsi le mani in una maniera triste e nervosa nello stesso tempo, il nodo alla gola… I ragazzi continuano a chiacchierare per rompere un po’ il ghiaccio, ma Pablo ormai è posseduto da una irrequietezza palese che lo ha portato a mille miglia di distanza… si alza, apre la finestra, guarda la piazza della sezione, si rimette a sedere, si rialza, cammina su e giù per la stanza…
La combriccola si scioglie nel pomeriggio e uno alla volta tutti se ne vanno. Ci si dà appuntamento al sabato successivo.
Senza dire una parola rimango nel Kinder a riordinare lavando i piatti insieme a Pablo, e cerco dentro la mia testa e il mio cuore il modo di avvicinarmi all’argomento messo in tavola da lui senza essere troppo invadente, ma nello stesso neanche troppo accomodante. “Era tua sorella al telefono, prima?” “Sì, era lei, non mi chiama mai. Ero contento di sentirla, ma poi, quando abbiamo cominciato a parlare, mi ha fatto venire solo una gran rabbia! Lei non vuole credere che io sia qui detenuto. Mi dice che chissà dove me ne sono andato a fare chissà cosa!” “Beh… non ha tutti i torti… Sei mai stato completamente sincero con lei?” Mi guarda Pablo, con uno sguardo misto al sorpreso e al divertito, ma non mi risponde. “Io facevo quel che facevo, è vero. Ma ho sempre aiutato tutti in famiglia, i miei fratelli più piccoli, mia mamma, e anche mia sorella! Quando tiravo su dei bei soldi, io ho sempre dato aiuto a tutti, e ho aiutato mia sorella a comprarsi la casa! E adesso? I miei fratelli non mi hanno mai fatto una telefonata da quando sono qui. Un anno e mezzo! Ti rendi conto? Neanche una telefonata! Io con mia sorella ho chiuso! Io non la voglio più sentire! Per me non esiste più!” Gli metto una mano sulla spalla e lo guardo dritto negli occhi “Ti mancano molto i tuoi fratelli. Devi soffrire molto… quanto dolore hai dentro Pablol! E sono contenta che me ne stia parlando. Però non puoi nemmeno fare una colpa a tua sorella, se non ti crede… un po’ come la favola di “al lupo, al lupo”… se non sei mai stato sincero con lei, come puoi pretendere che lei ti creda adesso? Devi avere pazienza, coraggio, e cercare di riavvicinarti a lei. Almeno un tentativo lo devi fare, per non lasciare nulla di intentato…” Pablo mi ascolta e mentre mi guarda ha gli occhi lucidi. “Credo che tu stia cercando di non piangere per dimostrare a te stesso che sei forte, che sei un duro… ma piangere è necessario a volte… per non scoppiare, per non ammalarti.”
Pablo si stropiccia gli occhi e la prima lacrima comincia a scendere. Mi viene solo da dirgli: “Tutti, ma proprio tutti abbiamo bisogno di affetto”. Ormai non si vergogna più, e mi abbraccia forte, Pablo, cercando braccia accoglienti che lo contengano, che lo capiscano, che lo accettino per quel che è. Il pianto a dirotto che ne è seguito è stato catartico. I singhiozzi non lasciavano più spazio alle parole. Si siede e si soffia il naso, poi mi abbraccia le gambe ancora, disperatamente, come per sentire che quel pianto non se ne vada nel vento, ma che sia ascoltato e raccolto da qualcuno. La catarsi mi porta a sentirmi mamma di questo ragazzone tutto muscoli… mi intenerisco in una maniera incredibile, lo abbraccio e gli accarezzo la testa, mentre il suo pianto diventa quasi il pianto del bambino pentito, che svuota il sacco delle sue marachelle e nello stesso tempo si rende conto di quello che ha fatto, del perché le sue azioni abbiano portato certe conseguenze nei suoi rapporti, nella sua vita. “Pablo, tutti sbagliamo a questo mondo. Chi più, chi meno, abbiamo tutti sempre tanto da imparare. Ma questo non ci impedisce di crescere e migliorare, anzi! Chi ha sbagliato pesantemente, ha la possibilità di sentire molto chiaramente e forte cosa può fare per cambiare! Adesso devi accettare il silenzio dei tuoi fratelli come conseguenza della tua vita torpida passata, delle tue tante bugie, e devi trovare il coraggio dell’umiltà di essere tu a fare il primo passo e cercarli… Se non altro potrai dire “ci ho provato” e non avrai rimpianti o dubbi…”
Il pianto di Pablo è durato a lungo, tra le parole che piano piano finalmente è riuscito ancora a dirmi… mi sono chiesta da quanto tempo era che non piangeva quest’uomo… Non so. Ma so che nei giorni seguenti il suo umore è migliorato visibilmente… Potere della catarsi, della purificazione!
Heidi è una bambina di 5 anni che si è affezionata terribilmente a me (e io ovviamente a lei). Tutte le volte che mi vede si illumina e mi corre incontro, saltandomi addosso e arrampicandosi tra le mie braccia stritolandomi, accarezzandomi, baciandomi i capelli, la faccia, le mani… è una bambina terribile, sempre in mezzo a qualche casino, a litigi, o in punizione perché arrogante, sfacciata: un terremoto vivente (potrebbe essere la versione femminile di Willy, la mia piccola peste)…
L’altro giorno Heidi mi corre incontro e mi salta in braccio. Dopo aver controllato i miei orecchini, il tono del rossetto, la sciarpa e qualsiasi altro particolare di abbigliamento, mi stringe forte forte e mi sussurra con la sua manina appoggiata tra la sua bocca e il mio orecchio, per non farsi sentire da nessuno “Io mi sono innamorata di te!” “Cosa?” “Ti ho detto che io mi sono innamorata di te!” … mi si è sciolto il cuore… le ho sorriso e l’ho stretta forte “Sì! Tu mi vuoi tanto bene e anche io ti voglio tanto bene!”…
Torno agli interrogativi iniziali: Cos’è una relazione? Cosa porta una persona a condividere, raccontare, vivere certe intimità, certi pensieri, certe esperienze con qualcun altro?
Qualche volta, nel mio lavoro in carcere, queste domande diventano molto importanti, ma le risposte diventano una: “La ricerca di amore”.
Sono felice di essere qui e di sentire tanto amore per la vita!
Vi abbraccio forte!
La vostra Barbara
Nessun commento:
Posta un commento