venerdì 11 giugno 2010

Questo nostro povero Ernesto…

di William Stabile

Alle nove del mattino, La Paz, capitale che sorge a 3600 metri sul livello del mare, vede aprirsi le porte del Carcere di San Pedro. Sono i primi visitatori, familiari o amici, che entrano nel recinto penitenziario. Il freddo spacca le ossa. La Paz soffre di una estrema escursione termica tra il giorno e la notte, e mentre di giorno, non di rado c'è un bel sole caldo, di notte può far molto freddo.
Ma al San Pedro il freddo è penetrato fin nelle vecchie mura del carcere spagnolo. È come se si fosse annidato li dentro da anni. È un freddo potenziato, più forte, e gli effetti si notano sui volti dei detenuti. I pochi detenuti mattinieri escono come deboli fantasmi dalle loro celle e cercano di mantener insieme, alla meglio, le quattro ossa martoriate dalla notte gélida e dall'aver dormito all´addiaccio. Li osservo e tremo… dal freddo, per loro. Il freddo non ti permette di pensare, è come se ti maciullasse l'anima e l'attività cerebrale.

Oggi, Patchouli, uno degli interni piùinteressanti, dalla vita giróvaga e bizzarra, mi dice che in Grulla e Muralla, due sezioni di punizione del carcere, dove la vita sfiora l'estremo, l'unico diversivo per chi è dentro, è leggere, litigare o pensare di scappare. Mi dice che i libri sono importanti per chi è lì dentro da tempo. Mi guarda ed aggiunge: «ma non puoi scappare!»
I sogni di fuga di molti detenuti cadono dove iniziano le alte e dure mura del San Pedro. Così la Bolivia è un paese concreto e duro, che continua ad esercitare il suo fascino, ma dove i sogni inevitabilmente ricadono sugli altipiani delle Ande. È la stessa geografía del paese, la sua storia trágica, a farne un luogo duro e concreto. Il fiato è spezzato dall'altitudine e non puoi tanto sognare. In Bolivia sei spinto solo fare e a cercare di pensare il meno possibile. La Bolivia è un paese dove ai sogni dei ricchi e dei poveri, ai sogni di tutti, fanno lo sgambetto…
Il volto del “Che” campeggia su un alto muro di cinta all'ingresso del carcere. Se avesse ben capito la società boliviana forse non sarebbe venuto a morire fin qui. Nemmeno Ernesto ci inganna più di tanto, e a dir il vero, non so se possa essere un faro di speranza per i detenuti.
Completamente identificato con la sua causa e con il suo ideale, accecato, aveva preso una bella svista. Non aveva capito granché della Bolivia. Ai suoi tempi una rivoluzione importata, alla cubana, sarebbe stata impossibile in questo paese. In una società tutt'oggi molto conservatrice, machista e masochista, dove alla donna,- che ebbe un ruolo centrale e d'avanguardia nella rivoluzione in Cuba- è spesso privato il piacere o il diritto al piacere di essere libera dall'uomo-padrone, come contadini e contadine avrebbero potuto appoggiare la rivoluzione di un sognatore semi-borghese, bianco, in questa terra chiusa e sospettosa di tutto e di tutti?
Dove è caduto questo nostro povero Ernesto, forse, cadono in ginocchio anche i nostri sogni.
Mi dicono che la Bolivia è un chiste, uno scherzo. Ma è uno scherzo da prendere molto sul serio. Come il San Pedro, come la vita di detenuti abbondonati da un sistema penitenziario farraginoso, insensato e quasi inesistente.
Forse, oggi, in questa domenica di giugno, anche Ernesto si perdonerebbe per i peccati di vanità commessi e prenderebbe la comunione come faccio io, come facciamo noi, nella cappella del San Pedro, in fila con i carcerati, mentre Padre Filippo ci osserva lassù dall'altare, lanciando divertito, disilluso e felice, caramelle ai bambini.

La Paz, Bolivia
Carcel de San Pedro